15 luglio 2019

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2018


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La 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia si è svolta dal 29 agosto all'8 settembre 2018. Soni, diretto dall'esordiente Ivan Ayr e interpretato da Geetika Vidya Ohlyan e Saloni Batra, era in concorso nella sezione Orizzonti. Ma a generare meritatamente un grosso clamore fra i critici italiani è stato il sorprendente e acclamatissimo Tumbbad, film horror (avete letto bene) d'apertura - fuori concorso - della sezione parallela Settimana Internazionale della Critica. Tumbbad è diretto dagli esordienti Rahi Anil Barve e Adesh Prasad, e interpretato da Sohum Shah. 

RASSEGNA STAMPA/VIDEO (aggiornata al 6 agosto 2020)

- Recensione di Tumbbad, Gabriele Niola, BadTaste, 30 agosto 2018:
'Tumbbad è molto di più di quel che pensa di essere. Storia horror dalle striature fiabesche, (...) modifica la struttura delle fiabe per adattarla bene al cinema tenendone ferma la natura morale. Soprattutto Tumbbad crea. Crea mostri, crea mitologie (a partire da quelle esistenti), prende luoghi esistenti e gli crea intorno una nuova realtà modificandoli senza toccarli e non ha bisogno mai di ripetere una cosa due volte (ad esempio basterà un’inquadratura fugace per capire che fine abbia fatto la donna di servizio scacciata a metà film, aprendo squarci immensi su ciò che non ci è stato raccontato). In un mondo rassegnato alla pioggia, (...) Tumbbad fa bella mostra della qualità migliore per un fantasy/horror, ovvero la capacità di immaginare e creare la propria mitologia con maschere, trucchi, luci e soprattutto luoghi, luoghi veri con demoni nel loro ventre (letteralmente). (...) Con la tenacia del cinema d’azione asiatico, la prestanza di quello occidentale e un fascino che è solo suo, Sohum Shah è l’eroe di cui questo film ha bisogno: bastardo, furbo, cinico e duro. Mai convenzionale come quelli cui siamo abituati, mai davvero positivo, eppure animato da una qualità eroica indubbia, maschera benissimo il progressivo svuotarsi del suo personaggio, sempre meno padrone della sua vita e delle sue decisioni, vittima di qualsiasi vizio'.

Saloni Batra e Ivan Ayr

- Recensione di Tumbbad, Raffaele Meale, Quinlan, 30 agosto 2018:
'Sorprendente opera prima che si muove nel terreno del fantastico e dell’orrore per narrare la tensione antisociale di un’intera nazione (e del mondo intero). (...) Il riferimento a Gandhi, in un’opera che si articola attraverso tre passaggi storici (il 1918, il 1933 e il 1947) acquista un valore prettamente politico, ispessendo la trama in un continuo campo/controcampo ideale tra la finzione scenica, dove si parla senza alcun timore di demoni, di dee e di tesori maledetti, e la realtà. La storia del primo Novecento indiano, che in modo così forte e netto ha segnato il destino del subcontinente anche nei decenni a seguire, passa sotterranea ma non invisibile in Tumbbad, è parte integrante del sogno di potere e di conquista del suo protagonista, avido fin dalla primissima infanzia e destinato a seguire senza posa l’odore delle monete d’oro anno dopo anno, decennio dopo decennio. Il primo dettaglio che salta immediatamente agli occhi durante la visione del film è la volontà da parte dei due registi di lavorare senza tentennamenti sul genere: Tumbbad è un fantasy visionario, che scivola ben presto dalle parti dell’horror e da lì non si discosta. È un film che parla di leggende della tradizione popolare e le mette in scena come se fossero parte integrante di una società vessata - l’India è ancora sotto il giogo britannico - ma vessatoria a sua volta. Barve e Prasad hanno il coraggio di far coincidere fin dall’incipit lo sguardo dello spettatore con quello di Vinayak. (...) Vinayak non è un eroe. (...) Eppure lo sguardo dello spettatore è sempre con Vinayak, che esclusa la prima sequenza (...) è perennemente in scena. Una scelta (...) che dona al film un’aura tenebrosa: non c’è luce alla fine del tunnel, perché se da un lato agiscono i demoni dall’altro il mondo tangibile è ancor più mostruoso e ferale. Lo è perché dominato da regole inumane, classiste, in cui solo chi ha accesso al denaro può conservare una vita dignitosa. Sono due le costanti in Tumbbad. La prima è l’onnipresenza di Vinayak, e la seconda è quella di una pioggia incessante, fitta e che non sembra poter avere mai una fine. (...) La pioggia è lì da sempre. Cade, e continua a cadere, scalfendo il territorio e costringendo gli uomini e le donne a un supplizio ulteriore. (...) C’è dunque una profonda vena pessimista che si muove nel corpo del film: non esiste reale speranza, e le classi meno abbienti sono destinate a rimanere tali. Si può progredire socialmente solo con l’inganno, con l’omicidio, guidati da una rapacità che è l’unica vera madre. Non il ventre della dea, non un rapporto familiare che è solo l’infinita replica di uno schema mostruoso: la maledizione si trasmette di nonna in nipote, di padre in figlio. È la maledizione di una famiglia, ma anche di uno Stato, di una società, di un intero mondo dominato dal profitto. All’interno di un meccanismo popolare che funziona alla perfezione, e che intrattiene tenendo con il fiato sospeso gli spettatori - l’ultima discesa nel ventre della dea ha un potere visionario che lascia abbagliati, grazie anche alla bella fotografia (...) che si muove tra il livido blu grigiastro della pioggia e il rosso sangue del ventre - Rahi Anil Barve e Adesh Prasad condensano anche una riflessione tutt’altro che banale o semplice sulla natura umana e sull’India. Chapeu'. 

Da sinistra: Rahi Anil Barve, Sohum Shah e Adesh Prasad

- Recensione di Tumbbad, Carlo Valeri, Sentieri Selvaggi, 31 agosto 2023:
'Un fantasy indiano spettacolare e potentissimo. Con venature politiche non trascurabili. Il fantasy di Tsui Hark e l’iconografia avventurosa di Spielberg possono compenetrarsi in una forma a parte, che contiene quella tensione al polimorfismo e alla poligamia che solo la cultura indiana può raccontarci. E questa pozione magica ha per titolo Tumbbad, poderosa e colossale (nei risultati e nei costi) opera prima (...) forse già modello per una possibile saga. (...) Favola nerissima e visivamente abbagliante, alimentata da scenografie memorabili. Sin dall’inizio dominano gli elementi: acqua, terra, fuoco, vento. Il respiro epico si sposa con la materia di uno spazio-set organico, in cui i confini del genere vengono abbattuti insieme ai limiti delle forme e delle sostanze. Radici, carne, sangue, cibo, erotismo. La miscela è fluida e malvagia, spettacolo panico di grande intrattenimento ma non di sola superficie. L’operazione è infatti decisamente politica nel raccontare l’India colonizzata dall’occidente, bulimicamente pseudocapitalista, contagiata dal morbo del denaro e del materialismo e perfettamente incarnata da Vinayak. Il peccato e il Male si tramandano di generazione in generazione. E chiaramente tocca ai figli, come spesso avviene in ogni esemplare racconto di formazione, spezzare la maledizione dei padri e bruciare i mostri del passato'.


- Recensione di Tumbbad, Davide Stanzione, Best Movie, 31 agosto 2023:
'Un film con un forte segno commerciale, che unisce una dimensione fantasiosa e sregolata con un tocco da cinema per ragazzi, intinto però nel sangue e sprofondato all’Inferno. (...) È chiaro fin da subito che l’avidità e le sue letali conseguenze saranno al centro di una messa in scena insieme antichissima (l’universo, gli dei, la polvere di stelle, i ventri materni delle divinità) e spaventosamente attratta dalle sirene della modernità, dalle sue trappole inebrianti e tossiche. Non a caso Tumbbad è un film che si guarda come in apnea, galleggiando sospesi tra questi due poli. Ma con dalla sua la leggerezza di una domenica pomeriggio davanti alla tv, di un viaggio adolescenziale e mai davvero adulto. (...) Ma con un gusto macabro davvero estremo, che non si risparmia di capitolo in capitolo, arrivando alle soglie del martirio truculento. Tra paesaggi che piombano a schiaffo dentro le immagini e un gusto esoterico che non rinnega le derive più splatter, a tutto vantaggio dello stupore dello spettatore, che non può non rimanere spiazzato al cospetto di un oggetto così originale e pieno di invenzioni, ancorato tanto a una solida e magica identità di genere quanto alle difficoltà dell’India e dei suoi strascichi post-coloniali, autentico convitato di pietra del film'.


- Recensione di Tumbbad, Davide Di Giorgio, Duels, 31 agosto 2018:
'C’è tanto sapore di cinema e folklore indiano in Tumbbad, anche se le parti rimandano spesso a un immaginario occidentale: merito della sua capacità di mescolare i generi con divertimento, attraverso una storia che pure è divisa fra il piano materiale e quello ideale. (...) Il lavoro dei due registi (...) è volto proprio a esplorare le possibilità visionarie del fantasy senza compromessi. Così, sin dal prologo con il protagonista bambino alle prese con la nonna, posseduta dal Dio/Demone, si assapora il gusto ludico delle classiche avventure di pirati, il piglio ipertrofico del cinema spettacolare bollywoodiano e un senso del mistero che è pura materia da horror anni Ottanta. Un pastiche tra Salgari, i Goonies e le derive carnografiche di un Sam Raimi o un Cronenberg prima maniera, volendolo sintetizzare in poche battute: compito peraltro non facile perché quando pensi di averlo ingabbiato nello schema perfetto, Tumbbad devia, rilancia e cambia scenari, spostandosi ancora avanti nel tempo e intrecciando anche il suo percorso con i cambiamenti interni alla Storia dell’India. La capacità dei due registi sta tutta quindi nel modo in cui riescono a puntellare i difetti con i pregi, alternando intenzioni più alte a pratiche squisitamente “basse”. (...) Il gusto per l’avventura si rispecchia in una parabola sulla forza ossessiva dell’avidità, che il film snocciolerà attraverso un confronto trans-generazionale. (...) In mezzo c’è il piacere visivo di un’opera felicemente tattile, vischiosa, che non a caso procede con un ripiegamento sempre più interno, dal mondo di fuori flagellato da piogge costanti e che costringe i protagonisti a muoversi tra terreni fangosi e interni in perenne penombra, fino alla letterale discesa agli inferni. La caccia al tesoro di Hastar è infatti quella che più accende il film, attraverso l’immersione in una caverna-stomaco che riprende il tema del ventre divino in cui giocare la partita. L’inquadratura si satura per i rossi degli apparati intestinali e il sangue che ricopre il Dio/Demone, e gli effetti digitali si sommano alle frattaglie in gomma e i materiali per gli specialisti degli effetti: comunque sia, principio e fine del bisogno che si tramuta in avidità, in perenne occasione di confronto con i propri desideri. Come in una favola de Le mille e una notte, insomma, con un gusto più coreografico e viscerale, egualmente seria ma non priva di un certo approccio divertito, nonostante le possibili derive tragiche che i presupposti possono facilmente anticipare. (...) Tumbbad incuriosisce alla prova del pubblico, destinato ad amarne la sfrontatezza o a rifiutarne la peculiarità con cui dribbla gli schemi predefiniti'. 


- “Tumbbad”: intervista con registi e protagonista, Gabriele Ottaviani, Convenzionali, 31 agosto 2018:
'Il vostro è un film legato anche molto al concetto della memoria e della famiglia: quale pensate sia la loro importanza oggi?
Fondamentale: nella cultura indiana per esempio l’importanza che si dà alla vicinanza anche fisica tra i componenti dello stesso nucleo familiare, tra genitori e figli e non solo, è chiarissima, molto più forte che altrove, ma gli argomenti sono tutti collegati, nessuno predomina sull’altro, perché la realtà è complessa e ognuna è fatta a suo modo. Ogni cultura ha le sue caratteristiche, e certamente uno stesso argomento in Giappone o in un altro posto del mondo verrà trattato in modo diverso. Nel film c’è l’aspetto della religione, con cui tutti, credendo o non credendo, si relazionano, e della malvagità che esiste anche nel divino, c’è l’aspetto mitologico, c’è il fatto che l’India, che fino al 1947 è stata una colonia, è una nazione che adesso sta vivendo delle tensioni, delle bramosie di accumulo che fanno pensare proprio alle fasi immediatamente successive all’indipendenza, e molto altro. (...)
Sohum, qual è stato l’aspetto più interessante di interpretare il personaggio di Vinayak?
La sua contraddittorietà: sembra che non abbia a cuore nulla e nessuno, ma in realtà ha una sua dimensione umana molto precisa'.


- Video: intervista concessa da Ivan Ayr, da Saloni Batra e dalla produttrice Kimsi Singh a Fred Film Radio, 4 ottobre 2018.
- Recensione di Tumbbad di Gabriele Niola, Wired Italia, 6 agosto 2020:
'Tumbbad è un gioiello di horror folk. (...) Una storia che pesca dalle strutture delle fiabe tradizionali e dei miti fondativi e religiosi, ma piega tutto per raccontare una storia di cupidigia, sesso e avidità con un’inventiva e un coinvolgimento straordinari. Girato lungo 6 anni, iniziato e poi mollato, poi di nuovo ricominciato da capo perché tutto il girato fino a quel momento non era soddisfacente, Tumbbad è l’impresa di una vita, una sceneggiatura scelta e poi scartata da 7 produttori diversi che alla fine è diventata un film girato nella stagione dei monsoni, in cui piove sempre e ovunque, pure nelle case dei ricchi e in cui un bambino che poi diventa uomo affronta demoni e mostri con un obiettivo e una determinazione che conquistano. La ragione di tutta questa fatica è che per l’India Tumbbad è un film fuori da ogni canone. Non è una sagra di balli e canti come i più popolari, né un film d’autore come quelli che girano i festival, è innamorato del cinema occidentale, per ritmo e immagini, ma radicatissimo nelle mitologie locali e nei valori (...) indiani. (...) Tumbbad vive di una creatività esplosiva in cui l’orrore è coloratissimo e non per forza solo nero, in cui le architetture cittadine e di antichi templi sono piegate e trasformate dalla colonna sonora e dalla fotografia in qualcosa di mostruose, in un letterale ventre che coltiva mostri. (...) Per feticisti di tutti i significati del film va spiegato anche che i tre capitoli in cui è diviso Tumbbad sono anche un piccolo viaggio in quel che è successo all’India in questi anni. A noi dice poco ma è una forma di commento ai cambiamenti intervenuti nel paese e, a prescindere da quel che si conosce, è curioso lo sguardo critico sulla fame, il cambio di costumi e il contrasto che i tre registi del film (altra caratteristica stranissima) vedono nel loro paese'.





Da destra: Saloni Batra, Ivan Ayr e la produttrice Kimsi Singh


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