25 gennaio 2024

CINETURISMO ED ECONOMIA: I FILM INDIANI GIRATI IN ITALIA

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Il 26 marzo 2015 l'università di Macerata organizzò una giornata di studio sull'argomento La città di celluloide tra vocazione turistica ed esperienze creative. Il Capitale Culturale, rivista dell'ateneo, nel 2016 pubblicò gli atti dell'evento. Di seguito riporto un estratto del testo dedicato al cineturismo con riferimento alle produzioni indiane girate nel nostro Paese - la versione integrale è scaricabile qui. Cineturismo ed economia dei media: il caso dei film indiani girati in Italia, Marco Cucco e Massimo Scaglioni:

'Perché le produzioni indiane lasciano l’India per girare all’estero?
(...) In primo luogo effettuare le riprese all’estero (principalmente in paesi occidentali) consente alle troupe indiane di lavorare in condizioni più agevoli. Le grandi città statunitensi ed europee, infatti, sono meno caotiche ed affollate di Mumbai e New Delhi. Inoltre sia in Europa che negli Stati Uniti è presente una vasta rete di film commission e film office che offrono servizi gratuiti alle produzioni audiovisive per facilitarne il lavoro e che in India non esistono ancora. Infine il maggior grado di agio è dato anche dalle condizioni climatiche: la delocalizzazione all’estero, infatti, consente di girare film in esterno anche durante la stagione dei monsoni; monsoni che in India spesso obbligano a riprogrammare le riprese o a prolungarne la durata. 
In secondo luogo le produzioni indiane scelgono di girare in Occidente per usufruire di una serie di incentivi economici (tax credit, tax shelter, film funds). Sempre più paesi competono tra loro per attrarre riprese, e dunque le produzioni audiovisive si trovano oggi di fronte a misure sempre più vantaggiose a cui poter accedere. Ad oggi in India non esistono fondi pubblici o incentivi fiscali, nonostante le pressioni di numerosi associazioni di categoria.
La terza ragione (...) è (...) la volontà di rendere i propri prodotti più spettacolari e attraenti per il pubblico a fronte della concorrenza televisiva. La ricerca di una maggior spettacolarità cinematografica ha portato dalla metà degli anni Novanta ad una riduzione del numero di film prodotti ogni anno e ad un contemporaneo aumento degli investimenti per la produzione e la promozione di ciascun titolo. Grazie a questi budget più consistenti, parte delle riprese sono state progressivamente spostate all’estero, con l’obiettivo di portare sul grande schermo location esotiche e inedite particolarmente adatte per le scene di ballo e per le scene oniriche. (...)


La quarta ragione (...) è legata al desiderio di raggiungere un pubblico benestante. I film indiani vengono spesso associati ad un pubblico di massa con un basso livello di scolarizzazione, che appartiene alle classi più popolari della società indiana e che fino ad oggi ha decretato il successo del cinema nazionale. Da alcuni anni però i produttori indiani stanno lavorando per innalzare lo status del loro cinema e ottenere l’attenzione ed il rispetto delle classi più benestanti che possono permettersi i biglietti dei nuovi multiplex (più costosi rispetto a quelli dei cinema tradizionali) e sottoscrivere abbonamenti televisivi. Il ricorso a location straniere rientra in questa strategia di gentrification del cinema indiano, in quanto consente di conferire un carattere cosmopolita alle pellicole e di attrarre un pubblico più sofisticato interessato al mondo fuori dai confini indiani, che guarda con interesse all’Europa e all’America. 
La quinta e ultima ragione (..) è legata al desiderio di raggiungere i cosiddetti non-resident Indians (NRI), ovvero persone di origine indiana che vivono all’estero. (...) La rappresentazione della vita dei NRI nei film funge (...) da ulteriore elemento di richiamo per il pubblico, ma consente anche di portare in sala gli stessi NRI, i quali, pur rappresentando una porzione di pubblico numericamente contenuta: a) danno forma ad una domanda di film indiani consentendo a queste pellicole di emanciparsi dai circuiti dei festival a cui solitamente vengono relegate; b) pagano dei biglietti di ingresso in sala molto più costosi di quelli venduti in India, offrendo così importanti margini di guadagno ai produttori indiani. Il successo di pellicole come Dilwale Dulhania Le Jayenge (1995), Taal (1998), Kuch Kuch Hota Hai (1998) e Kabhi Khushi Kabhie Gham (2001) ha fatto sì che a partire dall’inizio degli anni 2000 sempre più i soggetti cinematografici venissero pensati in funzione del pubblico straniero, composto in primis dai NRI.


Perché è interessante attirare le riprese indiane?
(...) Primo: al momento l’India è il principale paese produttore di film al mondo. Ogni anno immette sul mercato circa 1250 titoli, a fronte dei 700-800 titoli realizzati e distribuiti negli Stati Uniti. Inoltre, come emerge da uno studio dell’UNESCO, la popolarità del cinema indiano è in aumento sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. Instaurare un rapporto con una tale realtà può rivelarsi estremamente conveniente da un punto di vista economico. 
Secondo: le riprese di un film indiano durano solitamente più delle riprese di altri film. L’industria indiana, infatti, dedica poco tempo e poca attenzione alla fase di sviluppo dei progetti, e molte decisioni (comprese quelle di programmazione delle riprese) vengono prese direttamente sul set, prolungando così la permanenza sul luogo in cui il film viene girato. Ciò significa che le riprese di un film indiano generano probabilmente delle ricadute sul territorio ospitante superiori a quelle generate dalle pellicole di altre cinematografie. 
Terzo: le amministrazioni pubbliche sperano che la presenza dei propri paesaggi all’interno di film indiani possa dar vita a fenomeni di cineturismo. L’India, paese molto popoloso, in ascesa economica e molto affezionato al proprio cinema nazionale, appare come un bacino di potenziali turisti estremamente interessante. La possibilità di innescare fenomeni di cineturismo è resa ancor più plausibile dal fatto che le location straniere vengono spesso usate per le scene di ballo (le più importanti all’interno di un film), che a loro volta vengono inserite nei trailer e soprattutto nei video musicali trasmessi con grande successo in televisione. Ciò aumenta ulteriormente la visibilità delle location e le loro possibilità di divenire mete di flussi turistici. 


Perché le produzioni indiane scelgono l’Italia?
Dalle interviste in profondità condotte a Mumbai è emerso che i produttori indiani scelgono l’Italia come set per tre ragioni. La prima è l’offerta paesaggistica: ricca, diversificata, suggestiva, e che dunque ben si presta per raggiungere il livello di spettacolarità necessario per le scene di ballo. La seconda ragione riguarda il clima mediterraneo, che offre molte giornate di sole idonee per le riprese in esterno (da sempre esposte al rischio dell’imprevedibilità delle condizioni metereologiche). Il terzo fattore, infine, riguarda le cosiddette politiche film-friendly disponibili in Italia e assenti in India. Queste politiche consistono in incentivi fiscali (tax credit), servizi logistici gratuiti offerti dalle film commission, e fondi economici. A differenza di molti strumenti del passato a sostegno del cinema, queste misure non sono aperte ai soli film italiani, bensì anche alle produzioni straniere che scelgono di girare in Italia. 
Le tre motivazioni emerse dalle interviste hanno un carattere estremamente pragmatico: realizzare film attraenti, rendere più agevole la fase delle riprese, conseguire vantaggi economici. Nessuno di questi obiettivi si intreccia con le finalità perseguite dagli enti territoriali (incentivare lo sviluppo del territorio e garantire il benessere della popolazione), tuttavia è evidente come l’arrivo di riprese si traduca nella possibilità di generare un indotto e di conferire al territorio una visibilità internazionale che, in alcuni casi, può aprire la strada a forme di cineturismo. (...)

Radhe Shyam

Criticità, aree di intervento e nodi da sciogliere
(...) In primo luogo si pone un problema di riconoscibilità delle location, ovvero il fatto che spesso nella narrazione cinematografica non vengono forniti gli elementi necessari per identificare l’identità delle città e dei paesaggi italiani portati sullo schermo. Nei film indiani, infatti, gli ambienti stranieri hanno un ruolo puramente decorativo all’interno delle scene di ballo, e questa mancanza di riconoscibilità delle location impedisce che possano innescarsi fenomeni di cineturismo. Come ben emerge da studi pregressi, i fenomeni di cineturismo si generano e sono significativi solo laddove si instaura uno stretto legame tra location e plot. 
La seconda criticità riguarda il fatto che oggigiorno le produzioni cinematografiche sono sempre più mobili, ovvero sempre più attente ad individuare quali sono le zone del mondo in cui è conveniente effettuare le riprese. Questo fatto è confermato dalla stessa industria cinematografica indiana e da come si è evoluto il suo storico rapporto con la Svizzera. La Confederazione Elvetica ha ospitato per decenni un elevato numero di produzioni indiane per via del suo paesaggio che ben si presta per le scene oniriche e per una forte somiglianza con la regione del Kashmir, spesso set di riprese di film indiani ma che è divenuta inaccessibile a causa dei conflitti armati. Negli ultimi anni il rapporto con la Svizzera si è molto affievolito per due ragioni: a) una sovraesposizione della Svizzera nei film indiani; b) la competizione esercitata da Austria, Germania e Italia, tre paesi geograficamente simili alla Svizzera e che nel corso degli ultimi anni hanno creato film commission, istituito film fund e introdotto incentivi economici per la produzione audiovisiva. L’Italia, per queste due medesime ragioni, potrebbe un giorno veder esaurire il flusso di riprese giunte dall’India.


Alla luce di queste criticità, appare importante avviare una riflessione volta a trasformare, nel limite del possibile, l’accoglienza occasionale in un rapporto regolare e continuativo. Ad oggi, infatti, le produzioni indiane sono giunte in Italia come un dono, ovvero senza un lavoro da parte del nostro paese e delle sue film commission. (...) È importante monitorare le politiche film-friendly adottate altrove, aggiornare le proprie, rafforzare la collaborazione orizzontale tra film commission, ecc. Volendoci focalizzare sul solo fronte del cineturismo, il lavoro da compiere si articola su due livelli. 
Primo: assicurarsi che le location italiane siano riconoscibili e che lo spettatore indiano incuriosito possa facilmente avviare un percorso di ricerca autonomo che lo porti in Italia nei luoghi visti sul grande schermo. La richiesta di inserire cartelli col nome delle località ospitanti all’interno del film, di menzionare il nome dei luoghi, ecc. potrebbe incontrare senza problemi la disponibilità di registi e sceneggiatori, anche a fronte dei servizi offerti gratuitamente dalle film commission. 
In secondo luogo, l’uscita del film in India andrebbe accompagnata con un’apposita promozione (in India) delle location italiane. Si tratta di un’azione importante quanto problematica, che richiede che uno o più soggetti si facciano promotori di tale iniziativa. Chi potrebbe ricoprire questo ruolo? Lo Stato e i suoi organismi di rappresentanza (ad esempio l’ICE) appaiono come i soggetti meglio deputati per dotazione economica e autorevolezza, tuttavia ad oggi questi enti hanno dimostrato una certa indolenza, uno scarso interesse in materia e una certa rigidità di intervento. L’imprenditoria privata (...) potrebbe essere un’alternativa, così come le camere di commercio. Tuttavia la loro azione rischia di essere molto frammentata e disomogenea, cosi come la “missione” potrebbe risultare economicamente troppo onerosa per la capacità dei singoli o di un loro gruppo. Discorso analogo per le film commission: la loro azione quotidiana si scontra spesso con la carenza di personale e di risorse economiche, e dunque non è ipotizzabile che possano farsi carico della promozione del loro territorio in India e/o in altri paesi in cui vengono distribuiti i film a cui hanno prestato i propri servizi'. 

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