22 aprile 2022

ANISH KAPOOR A VENEZIA


Vi segnalo la grande mostra dedicata ad Anish Kapoor, artista britannico nato in India, allestita a Venezia presso le Gallerie dell'Accademia e il Palazzo Manfrin (recentemente acquistato dalla Anish Kapoor Foundation), dal 20 aprile al 9 ottobre 2022, in concomitanza con l'Esposizione Internazionale d'Arte. Nel sito delle Gallerie dell'Accademia si legge:

'Le Gallerie dell'Accademia di Venezia presentano una grande mostra retrospettiva di Anish Kapoor, l'artista britannico famoso per aver sperimentato i limiti e la materialità del mondo visibile attraverso opere che trascendono la loro oggettività e sollecitano lo spettatore ad interagire emotivamente. Un'altra sede prestigiosa, lo storico Palazzo Manfrin nel sestiere di Cannaregio, completa questa rassegna con un'ulteriore importante selezione di opere di grandi dimensioni e che sfuggono a ogni definizione tradizionale. (...) Questa mostra rappresenterà l'intera gamma visionaria della pratica di Kapoor, la sua sensibilità pittorica e la sua abilità scultorea.

(fotografia di Attilio Maranzano)

LA MOSTRA ALLE GALLERIE DELL'ACCADEMIA

Alle Gallerie dell'Accademia Anish Kapoor presenta una serie di lavori fondamentali, dalle sculture degli esordi eseguite col pigmento, come 1000 Names, alle opere sul vuoto, fino a sculture mai viste prima create con il Kapoor Black, un materiale nanotecnologico innovativo, una sostanza talmente scura da assorbire più del 99,9% della luce visibile. La pelle dell'oggetto come velo tra il mondo interno ed esterno ha sempre rappresentato un aspetto cruciale nella pratica dell'artista, e qui alle Gallerie dell'Accademia le sculture realizzate con Kapoor Black trasportano questa dinamica in un territorio radicalmente nuovo, in forme che appaiono e scompaiono davanti ai nostri occhi. In queste opere Kapoor ripropone il motivo della piega nella pittura rinascimentale come un segno dell'essere: attraverso la cancellazione del contorno e del bordo ci viene offerta la possibilità di superarlo. Forze misteriose emergono attraverso un'altra serie di opere nere, che penetrano nelle pareti del museo, esplorando ulteriormente l'oscurità come una realtà fisica e psichica. Accanto a queste opere straordinarie si espongono per la prima volta i dipinti più recenti di Kapoor, instaurando un dialogo dinamico sia con la collezione storica d'arte delle Gallerie, sia con il suo stesso linguaggio scultoreo. Il motivo della pelle e della piega viene ulteriormente esplorato attraverso la spettacolare Pregnant White Within Me (2022), un gigantesco rigonfiamento che dilata l'architettura dello spazio espositivo, suggerendo una ridefinizione dei confini tra corpo, edificio ed essere. Kapoor commette vari atti sacrileghi sparando sulle pareti e modificando il tessuto stesso delle Gallerie.

(fotografia di Attilio Maranzano)

LA MOSTRA A PALAZZO MANFRIN

Questa seconda sede della mostra di Anish Kapoor inizia con la nuova monumentale opera Mount Moriah at the Gate of the Ghetto (2022), sporgente dal soffitto dell'androne e creata appositamente per gli spazi parzialmente rinnovati di Palazzo Manfrin. Questa massa grondante di silicone e vernice guida i visitatori attraverso un dedalo di stanze caratterizzate da un trittico di pitture in silicone ugualmente ribollenti, Internal Objects in Three Parts (2013–2015), oltre che da molte opere cruciali nella lunga e prestigiosa carriera di Kapoor, tra cui l'iconica opera sul pigmento White Sand Red Millet Many Flowers (1982). Il percorso continua con una serie di opere specchianti che capovolgono e distorcono le aspettative dello spettatore su ciò che si riflette. Paradiso, inferno, terra e mare sono tutti evocati, mescolati e capovolti in opere meccanizzate di grandi dimensioni come le acque vorticose rosse di Turning Water Into Mirror, Blood Into Sky (2003) e Destierro (2017), in cui un caterpillar interamente blu trasporta tonnellate di terra rossa in un'epica azione di sovvertimento. Il colore per Kapoor è una condizione che immerge lo spettatore nel peso della sua saturazione, consentendo di mettere in atto il suo potenziale di trasformazione. Le gradazioni della luce veneziana entrano in gioco attraverso opere eteree e geometriche scolpite nell'alabastro naturale, mentre il pigmento blu laguna dei primi emisferi vuoti di Kapoor presenta un territorio di meditazione. Nelle altre sale si riallacciano i temi presenti alle Gallerie dell'Accademia, con momenti di spiritualità e riti di passaggio espressi nel linguaggio visivo unico di Kapoor. Tutte le strade portano all'installazione centrale di un sole che tramonta (o sorge), che aleggia su una massa di cera rossa esangue mentre si aggrega sul pavimento del palazzo, sommergendo questo edificio storico nella sostanza primordiale della vita e della morte.

(fotografia di Attilio Maranzano)

ANISH KAPOOR

Anish Kapoor è considerato uno degli artisti più influenti del nostro tempo. Nato a Mumbai, in India, nel 1954, ora vive e lavora a Londra. Le sue opere sono esposte nelle più importanti collezioni permanenti e nei musei di tutto il mondo, dal Museum of Modern Art di New York alla Tate di Londra; alla Fondazione Prada di Milano; ai Musei Guggenheim di Venezia, Bilbao e Abu Dhabi. (...) Anish Kapoor ha rappresentato la Gran Bretagna alla 44esima Biennale di Venezia nel 1990, dove ha ricevuto il Premio Duemila. (...) Noto anche per le sue opere architettoniche, tra i progetti pubblici che ha realizzato ricordiamo, tra gli altri: Cloud Gate (2004), Millennium Park, Chicago, USA; Leviathan (2011), esposto a Monumenta 2011, Parigi; Orbit (2012), Queen Elizabeth Olympic Park, Londra; Ark Nova (2013), una sala da concerto gonfiabile creata per il Festival di Lucerna, Giappone; e Descension (2014), recentemente installata al Brooklyn Bridge Park, New York, USA'.

Ark Nova

RASSEGNA STAMPA/VIDEO (aggiornata al 24 aprile 2022)

'«Palazzo Manfrin non so esattamente che cosa diventerà, spero ci sia un’interazione con l’università. Certamente è anche una follia. Adoro Venezia, la amo per quel suo lato maternamente oscuro, per queste sue acque. Sono stato qui un po’ anche durante il lockdown». 
Per poi ritornarci ora, durante la Biennale, con un grande evento (...), con opere nuove e altre storiche, come quella in cui utilizza un cannone per sparare cera rossa dentro a una stanza. Per l’artista un simbolo di fecondità. 
«È molto fallico, bombarda colore. Qui in una stanza, ma originariamente in un angolo. Qui c’è anche il principio del maschile e del femminile. L’idea della violenza e della pittura. Pensiamo a Jackson Pollock: lui ha messo la tela per terra ricoprendola di colori come fossero fluidi corporali. Poi ha appeso queste tele facendo un gesto fondamentale per la loro trasformazione. Dicendo che la terra diventava il cielo. E io vedo, in questo, la lotta del corpo nella sua trasformazione».
Nella sua pratica, l’uso del rosso è una costante da almeno trent’anni, però in queste settimane si è visto scorrere tanto sangue sulla neve in Ucraina, (...) fosse comuni, carneficine...
«Spezza il cuore, spezza il cuore. È molto rivelatore quando l’arte coincide con la vita vera. La violenza è intorno a noi sempre, anche se pretendiamo che non ci sia, ed è compito della cultura far pensare che esista. Adesso la vediamo concentrata nell’orrore perpetrato da questo Putin».
Con questa sua nuova scultura, The Unremembered, presentata per la prima volta qui alle Gallerie dell’Accademia, lei sembra sia entrato nel magma incandescente dell’Etna.
«Non ci sono mai stato però! Negli ultimi tre, quattro anni ho cercato di ritornare a una pratica più ricca, molto fisica e se noi pensiamo alla ritualità questa ha sempre molto a che fare con il corpo. Poi c’è la parte più trascendente di che cosa sia il corpo e cosa diventi, non solo dal punto di vista della cultura cattolica. E ovviamente il sacrificio è uno degli atti più significativi. Quindi un modo di vedere all’interno del corpo. Questo pezzo è come un’incudine. È fatto con pittura molto spessa e silicone. Qui è come se tutto collassasse, ed è anche quello che succede all’interno del nostro organismo. Da anni, anni e anni ho sempre guardato all’interno delle cose, e sorprendentemente l’interno è più grande dell’esterno. È una realtà psichica, ma non abbiamo questa percezione».
I titoli delle sue opere a volte hanno un che di romantico.
«Amo molto la poesia. Ma non la scrivo. Le parole sono importanti e il titolo è un’altra parte del lavoro, e lo contestualizza. Noi non osserviamo nulla in modo innocente. E le parole possono influenzarci nel vedere».
Lei dice che a volte, quando un’opera è finita, osservandola si domanda «che cosa ho fatto?». Un’opera corrisponde sempre alla sua idea creativa iniziale oppure alla fine vive sempre di una vita propria?
«Un’opera vive sempre una vita propria, sempre. E ciò ha a che fare con uno strano processo. In primo luogo, ciò che faccio è mettere in piedi una situazione, ho costruito questa sorta d’incudine con una fessura all’interno. Ciò ha richiesto disegni e mesi di lavoro, un processo molto cosciente. Poi, sviluppo un’altra idea successiva, pensando a certi volumi, a certi riferimenti corporei, al colore, e questo processo dura invece due, tre ore, non di più. Molto veloce. Poi torno forse giorni dopo, guardo molto intensamente l’opera, ed è questo il vero lavoro. Non mostro mai una creazione se prima non sono passati almeno sei mesi. E mi chiedo: qual è la sua vita? Se io spiego qualcosa in merito, lei lo capisce e tutto finisce lì. Ma l’interessante è ciò che succede nonostante il detto. L’arte è qualcosa che confonde, è una conversazione tra il senso e il non senso. Questo succede non solo con le mie opere ma, ad esempio, con uno dei miei dipinti preferiti come La punizione di Marsia di Tiziano. La grandezza di un’opera non risiede in ciò che essa esprime. Tiziano gioca con la materia, con la storia, con ciò che è nascosto, non sta illustrando. C’è un che di misterioso in essa e qualcosa accade mentre si osserva il dipinto, l’osservatore fa parte dell’opera. E ogni volta io la scruto per rendermi conto di come Tiziano sia riuscito a fare certe cose. Ed è sempre nuova ai miei occhi».
Questa parete panciuta appare come un richiamo al femminile. Lei sente molto il tema della maternità, ha fatto anche due lavori specifici.
«Quella che vede è una forma non forma, c’è tensione interna ed esterna. Ho due maschi adulti, e una bimba piccola. Ho seguito la trasformazione del corpo delle mie compagne da vicino. Le donne incinte sono molto potenti. L’uomo non può esserlo. A me piacerebbe essere gravido, credo sia uno stato davvero fondamentale. Ho speso tutta la mia vita a creare delle opere, a partorirle, ma generare un essere vivente, wow, sarebbe fantastico. Io da uomo ho partecipato solo alla metà di questo processo, mentre la donna è nella totalità. Però ho assistito al parto: davvero qualcosa di molto, molto fisico, con tanto sangue anche. Ma molto bello». (...)


Kapoor è ossessionato dal nero più profondo. L’utilizzo dei pigmenti caratterizza l’opera di Kapoor, però da tempo è andato oltre questo materiale, si è invaghito del Vantablack (un particolare materiale composto da nanotubi di carbonio) di cui ha acquisito i diritti, e delle nanotecnologie. La peculiarità di questo materiale, a volte confuso per un pigmento, risiede nella sua capacità di assorbire la luce al 99.96 %. Ed è così assorbente da far scomparire l’oggetto sul quale viene applicato. Qui in mostra vediamo frontalmente un quadrato nero piatto, ma se appena ci spostiamo di lato appare magicamente un cono sporgente.
«Da molto tempo lavoro sul concetto del non-oggetto, della sua negazione. Leggendo un trafiletto in un quotidiano ho scoperto che un uomo chiamato Ben Jensen ha inventato la materia più nera nell’universo. Così gli scrissi e lui mi disse subito: “Questa è tecnologia che non ha nulla a che vedere con l’arte”! Ma poi abbiamo dialogato, lui inizialmente poteva sviluppare solo pezzettini di 2 cm quadrati. Poi, insieme, per sette anni, abbiamo fatto tanta ricerca. Non è una vernice, né un tubetto dal quale spremere il colore. Lavorare questa materia è un incubo, è tossica, bisogna indossare maschere speciali, per questo l’oggetto nero viene purtroppo esposto dentro a una teca di vetro».
Quindi con questo procedimento nanotecnologico lei fa scomparire l’oggetto senza però negare del tutto la plasticità, su cui si basa il gesto dello scultore.
«Nel Rinascimento ci furono almeno due grandi scoperte: la prospettiva, che mette l’uomo al centro, e il panneggio del tessuto, che rivela l’essenza del corpo di un essere umano. Ora se il Vantablack, questa materia nera, viene messa sulle pieghe di un tessuto, esse scompaiono, quindi la mia proposta è che questa materia, applicata nel giusto contesto, spinge l’oggetto oltre sé stesso. Il Quadrato nero di Malevic è un’icona, ma lui ha sempre parlato di questa come di un oggetto fondamentale, le tre dimensioni le conoscevamo e la quarta è il Suprematismo, per andare oltre la forma, oltre tutto. Per me è un po’ la stessa cosa, l’oggetto va oltre il suo essere fisico. Queste ricerche mi ricordano anche la figura di Robert Fludd, un medico alchimista che fece bellissime, piccole opere con dei quadrati neri. Alcune si trovano alla British Library. È una vecchia storia questa della trascendenza, l’oggetto non è abbastanza».
E adesso neppure i pigmenti che lei usa da decenni sono più sostenibili essendo estratti da minerali....
«Sì, lo so, è un disastro. Ciascuno di noi deve giocare un ruolo nei confronti del mondo, delle persone, verso il sistema politico. Putin può essere un uomo cattivo, ma lo è altrettanto Boris Johnson. Non sto scherzando. È lo stesso stupido sistema che ha messo in quel posto Putin e anche quell’idiota di Johnson. Un sistema che dà a un solo individuo un ridicolo ammasso di potere. Noi abbiamo un vero idiota a governare l’Inghilterra e mi spiace di essere così chiaro, ma è proprio quello che penso. E vorrei andare ancora oltre, parlare del modo come educhiamo i nostri figli. La nostra società emargina tutte quelle persone che non ama. Tu sei un cattivo ragazzo, tu sei una cattiva ragazza, stai all’angolo. Non fare questo, non fare quello. Tutte quelle parti che sono indomabili, oscure, incontrollate, devono essere epurate, e questo è davvero il peggio. Essere un artista vuol dire fare esattamente l’opposto di quello che uno si aspetta».
Su cosa ha basato allora l’educazione dei suoi figli?
«Ho insegnato loro la libertà di fare tutto ciò che vogliono (mia moglie non è molto d’accordo, ma vabbé). Questo aspetto educativo, anche se non sembra, ha molto a che fare con il riscaldamento globale. Tutto ciò che su questa Terra era selvaggio lo abbiamo bandito, trasformando tutto in un bel giardinetto. Invece dobbiamo consentire a noi stessi di vivere questa parte selvaggia, e i nostri figli non sono strumenti economici fatti di carne, sono bellissimi esseri umani creativi. Il capitalismo globale è il peggiore dei mali».
E gli NFT [Non-Fungible Token, certificato di proprietà di un'opera digitale] sono arte o uno strumento finanziario? Lei ha fatto ritirare un’opera NFT proposta sulla piattaforma di OpenSea, fatta a sua insaputa, era uno di quegli elmetti di Star Wars customizzati da famosi artisti, tra cui lei, appunto.
«Sono della vecchia scuola, e faccio cose fisiche, perché farle su uno schermo? Uno dei più grandi mali dell’arte è il suo costante link con il capitalismo globale. L’NFT è ancora un altro trading, non ha nulla a che vedere con l’arte. È veramente strana questa relazione tra arte e denaro. Intrinsecamente l’oggetto d’arte è completamente inutile, è qualcosa di psichico, di mitologico. Mentre lavoro qui alle Gallerie dell’Accademia, è fantastico soffermarsi nelle sale, rivedere per esempio La Vecchia di Giorgione e naturalmente la sua Tempesta, che è così meravigliosamente misteriosa. Nel cosmo ci sono degli oggetti che non capiamo, ma nel nostro mondo ogni cosa che osserviamo la comprendiamo perché ha un nome, ma solamente nell’arte ci sono dei veri misteri, è un gioco intellettuale, emotivo, visivo».
Venezia è anche la città dei cieli di Tiepolo, di Canaletto, di cui alle Gallerie dell’Accademia troviamo mirabili opere. Lei non utilizza mai questi azzurri chiari, però il cielo ugualmente lo cattura con opere specchianti come Cloud Gate del 2004 o C Curve del 2009.
«Il cielo è molto importante. Ed è per questo che cerco di lavorare sulla trascendenza, ma l’unica che noi conosciamo è quella che sta lassù dove punta il mio dito. La Terra e il Cielo stanno all’opposto ma anche in dialogo. Ho fatto alcuni lavori usando il rosso per il cielo come in At the Edge of the World. Un cielo molto scuro».
Che cosa sta processando la sua psiche adesso?
«Ah che domanda impossibile. Però sì, molte cose. Ho una vita molto regolare, mi alzo presto al mattino, alle 6.30. Mangio sempre le stesse cose a colazione. E questa ripetitività mi dà la libertà, una volta che sono in studio, di essere regolare, molto concentrato. Lavoro fino alle 18/18.30. Ma qualche volta, in mezzo, ci sta anche un pisolino. Sono proprio come un impiegato. E il motivo di essere così regolare è quello di aprire uno spazio all’interno della psiche. Cerco ogni giorno di fare almeno un’opera o anche più di una. E poi non c’è una volta che mi sia posto dei limiti, vado sempre, sempre avanti. Per vedere che cosa può succedere. È un metodo psicoanalitico per affrontare le cose. Questa è una preoccupazione costante, altrimenti sei un dilettante».'

(fotografia di Attilio Maranzano)

'Con oltre 60 opere esposte, la rassegna ripercorre i momenti chiave della carriera artistica di Kapoor, presentando al tempo stesso anche lavori fortemente innovativi, di recente produzione, realizzati utilizzando la nanotecnologia del carbonio, che testimoniano la vitalità e la spinta visionaria dell’artista britannico, considerato uno dei maggiori protagonisti dell’arte contemporanea. Le opere di Kapoor instaurano così un inedito dialogo con la collezione storica delle Gallerie dell’Accademia, “forse una delle più belle collezioni di pittura classica di tutto il mondo - sottolinea l’artista, spiegando che “tutta l’arte deve sempre confrontarsi con ciò che è accaduto prima. Le Gallerie dell’Accademia rappresentano una sfida meravigliosa e stupefacente. Sento un profondo legame con Venezia (...) e la sua vocazione per l’arte contemporanea”.
“Anish Kapoor - evidenzia Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie - ha costruito la sua intera opera indagando l’essenza assoluta dell’arte nei suoi interni elementi costitutivi: la forma, il pigmento, la prospettiva, la luce e la sua assenza, agevolando in questa indagine creativa un dialogo stimolante con l’arte dei grandi maestri del Rinascimento veneto rappresentati in museo: Bellini, Tiziano, Tintoretto, Veronese.” La mostra veneziana guarda a un linguaggio interiore, che è sempre stato centrale nella pratica di Kapoor. (...) Lungo tutta la rassegna le opere assorbono ed estendono lo spazio all’interno e intorno a loro “in regni inquietanti, trasformando le sale delle Gallerie dell’Accademia in luoghi magici - andando oltre l’esposizione di oggetti”. (...)

(fotografia di Attilio Maranzano)

“Kapoor - chiarisce Taco Dibbits [curatore della mostra] -  crea opere che si realizzano nell’attimo in cui le sperimentiamo. In tutti gli spazi di questa esposizione, alle Gallerie dell’Accademia e a Palazzo Manfrin, l’evoluzione e il tempo sono in mostra ma anche in atto. Tali opere esistono in un divenire continuo, siamo chiamati come testimoni di questi oggetti per un solo momento nel corso della loro generazione o de-generazione”. “Nella pratica di Kapoor - continua il curatore - è  sempre esistito un rapporto fluido tra pittura e scultura e, allo stesso modo, ora manipola l’olio su tela per evocare momenti cinematografici di natura temporale, per presentare una scena o uno spazio in cui qualcosa sta accadendo e, in apparenza, spesso qualcosa di violento. Mentre l’origine delle opere a specchio di Kapoor e il recente corpus di opere nere potrebbero essere collocate tra le prime sculture a pigmento e la creazione dell’oggetto vuoto, la genesi dei suoi dipinti e dei lavori a base di silicone e resina sembra emergere dai processi più brutali e tumultuosi delle sculture di cera ‘autogenerate’. Nel riunire queste serie di opere a Venezia, Kapoor ci presenta la sua proposta di bellezza e violenza profondamente intrecciate l’una con l’altra, in cui la seconda e una forza generativa ed entropica, vitale nella formazione dell’essere e del non essere, dell’oggetto e del non-oggetto, e che coesiste con la bellezza di creare un sublime nuovo e necessariamente terrificante. Queste opere sono tornate a casa, in una città in cui riecheggiano le stesse forze” - conclude Dibbits'.

The Dark, 2021

- Video Rai 3: TGR Veneto del 21 aprile 2022.
- Video Sky TG24, 21 aprile 2022: intervista concessa da Anish Kapoor a Sabrina Rappoli. '“Io amo Venezia, amo tutto quello che rappresenta, è un villaggio cosmopolita che racchiude un vero spirito internazionale al suo interno e la Biennale rappresenta bene quest’idea di culture che si uniscono, è molto importante poi naturalmente essere qui, nell’Accademia, casa di grandi artisti e pittori veneziani. Ed è molto importante anche  osservare la grande arte del passato con gli stessi occhi di un contemporaneo che guarda all’Arte del suo tempo, in modo che queste due impressioni si fondano. (...) Credo che la pittura veneziana in particolare, avesse una relazione complessa con il colore, faccio l’esempio di Tiziano, ma ce ne sono molti altri. E la relazione risulta ancora più complessa se pensiamo che la maggior parte delle opere d’arte di questa città furono concepite durante la peste e girano intorno all’idea di questa “bestia” sconosciuta.  Un aspetto non molto differente da questo momento storico. È l’idea che il colore possa riflettere e parlare di questi stati d’animo che sono incerti, a volte bui, a volte luminosi. Si tratta del vecchio gioco dell’artista che si pone da sempre le domande fondamentali: cosa significa essere vivi? Cosa è vivo? Qual è la differenza tra me e un oggetto inanimato?”.'

Destierro, 2017

- Il nero più nero del mondo nella mostra di Anish Kapoor a Venezia, Alberto Bonazzi, Outpump, 24 aprile 2022:
'Anish Kapoor ha deciso di sbarcare a Venezia con un’enorme retrospettiva che ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera artistica e celebra il dirompente contributo da lui apportato all’arte contemporanea. Si tratta di un’occasione unica per incontrare la pratica dell’artista nella sua totalità, immergendosi in una selezione di opere che spaziano dagli acclamati capolavori che lo hanno reso famoso in giro per il mondo, a una serie di nuove opere appositamente concepite per l’occasione. (...) Se nel 2017 era stato il MACRO di Roma a ospitare una sua retrospettiva, ora è arrivato il momento delle Gallerie dell’Accademia di Venezia che non hanno rinunciato a fare le cose in grande. La mostra (...) si articola all’interno di due prestigiose location. (...) Tra le stanze di questi palazzi, dunque, si cerca di offrire al pubblico la possibilità di aprire una finestra sull’intera cifra artistica di Kapoor, vedendo alternarsi dipinti, sculture e installazioni nell’articolazione di un forte dialogo tra medium differenti. 
Tra opere specchianti, perturbanti vuoti di luce e violente cromie, il susseguirsi dei capolavori dell’artista dimostra compiutamente la sua propensione ad approcciare l’arte per contrasti, prediligendo l’ossimoro e l’opposizione quali caratteri capaci di infondere spessore alle opere e generare intense reazioni emotive nelle persone. Si passa da installazioni come Shooting into the Corner (2008-2009), in cui grossi proiettili di cera e silicone vengono letteralmente sparati su muri intonsi generando un risultato violento e crudo, agli iconici lavori riconducibili alle sue prime sperimentazioni come White Sand Red Millet Many Flowers (1982). Ma in mostra sono anche presenti i grandi specchi che distorcono, sovvertono e ridefiniscono il mondo che vi viene riflesso, insieme ad altre sorprendenti opere, una fra tutte Destierro (2017) che vede come soggetto principale un caterpillar blu posizionato su una montagna di terra rossa: immagini e colori sono elementi forti, diretti e spesso destabilizzanti. 


Ovviamente non possono mancare all’appello i celebri volumi monocromatici che sporgono e si sviluppano nello spazio quasi a invadere quello personale dei visitatori e le inconfondibili opere colorate con il famigerato Vantablack, il colore più nero al mondo mai realizzato. Anish Kapoor, infatti, ha spinto lo sviluppo di questo colore unico nel suo genere capace di assorbire oltre il 99,9% della luce visibile e, quindi, di annullare la percezione della profondità e della distinzione dei bordi nelle superfici sulle quali viene applicato. Il Vantablack oltre a consentire la realizzazione di opere incredibilmente affascinanti, poiché la persona è costretta a relazionarsi con una dimensione della materia sconosciuta in quanto buia e infinita, è stato anche protagonista di un vero e proprio dissing tra artisti. Questo incredibile colore, che è il risultato della ricerca sulle nanotecnologie di un’azienda britannica, è soggetto a quello che potremmo definire uno stringente diritto d’esclusiva, poiché Anish Kapoor risulta essere l’unico artista che ne possa fare uso a scopo creativo (è ampiamente utilizzato anche in campo scientifico, militare e aeronautico). Dunque, al mondo non c’è altro artista al di fuori di Kapoor che possa usare il Vantablack e, come si può immaginare, ciò ha generato non poche polemiche all’interno del settore'. 

Vedi anche Biennale Arte 2022, 26 maggio 2022

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