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Shah Rukh Khan - Roma, 2010 |
Vi propongo una rassegna stampa degli articoli pubblicati in rete dedicati alla clamorosa partecipazione di
Shah Rukh Khan al Festival Internazionale del Film di Roma 2010, in occasione della proiezione di
My name is Khan.
'(Riguardo a MNIK) "Non è un film politico, un film di Bollywood non potrebbe esserlo, ma lo abbiamo voluto fare perché anche nel nostro cinema fatto di storie semplici, canti e danze, era importante raccontare una nostra visione di Islam, che al cinema è sempre rappresentato male". Anche lui è musulmano, sa di cosa parla. "È importante che chiunque abbia la possibilità di fare qualcosa, faccia sentire la sua voce per favorire il dialogo e l’apertura". (...) "È bellissimo essere uno degli ambasciatori di Bollywood in questo momento: è la faccia dell’India, c’è molto interesse anche in Occidente. È un buon momento per il nostro cinema e per l’economia indiana, lo sappiamo anche noi. È un trend e una moda culturale, se vogliamo che continui dobbiamo essere capaci anche di cambiare, non recitare solo in hindi, aprirci all’Occidente". Ma non ditegli di andare a girare a Hollywood. "Auguro buone cose ai colleghi che lo fanno, ma non fa per me. Non sono sexy come Banderas, non ballo come John Travolta, non ho niente da offrire a Hollywood. Il mio sogno è fare un film come La vita è bella di Benigni, anche se non capisci la lingua è un film che la gente ama". Ama l’Italia Khan. "Siamo più simili di quanto possiate immaginare: amiamo il cibo, la mamma, parliamo ad alta voce, e gesticoliamo molto. Però noi a differenza vostra, siamo riusciti a difenderci dall’invasione di Hollywood. Non abbiamo rockstar e divi dello sport: noi abbiamo solo le star del cinema, che sono amatissime". (...) "Se mi piacerebbe incontrare Obama? Certo, ma non è il sogno della mia vita. Pagherei per incontrare Fellini, Al Pacino o Scorsese".'
Alberto Crespi, l'Unità, 1 novembre 2010:
'Abito nero, camicia candida, cravatta nera, capelli nerissimi: ma è lui stesso a confessare di tingerli. Shahrukh Khan si presenta nella saletta dell’hotel Duke con un lieve ritardo che tutti gli perdoniamo. In fondo era in ritardo anche De Niro, giorni fa, all’incontro per Manuale d’amore 3… e se dovessimo fare un referendum davvero mondiale, potremmo scoprire che Khan è più famoso del sommo Bob. (...) In fondo è un protagonista nato, e ieri ha confessato candidamente: "Credo che nessuno, in America, voglia scrivere ruoli per un indiano di pelle scura che non pratica il kung-fu, non è bello come Banderas, non sa ballare come Travolta e si tinge i capelli. Non ho molto da offrire al cinema occidentale, credo di non essere nemmeno un grande attore. Ma ho un sogno, e prima di finire la carriera lo realizzerò: voglio girare il Grande Film Indiano che tutto il mondo vedrà, un’opera universale come La vita è bella di Benigni. Non mi interessa fare piccoli ruoli in film hollywoodiani". Come dire: io sono la star, e vi conquisterò. Il mio nome è Khan, che la Fox distribuirà in Italia il 26 novembre, è il primo passo. (...) "Platone diceva che 'solo i morti vedono la fine delle guerre'. Il film è un messaggio di pace rivolto all’America. Prego Allah che questo messaggio abbia un senso emotivo per tutti. Noi indiani abbiamo regalato tesori di saggezza al mondo. (...) Se riusciremo a portare più profondità nei nostri film, e a raccontare storie in modo più internazionale, il futuro è nostro. In fondo siamo già un’industria da 1000 film all’anno. Conoscete un altro cinema che gira 3 film al giorno?".'
Anna Maria Di Luca, La Gazzetta dello Sport, 1 novembre 2010:
'(SRK dichiara) "Ma questo film è diverso. Pur rimanendo nella tipologia cinematografica indiana, My name is Khan allarga lo sguardo a tematiche universali, drammatiche. È una storia d’amore ma anche il racconto di come i musulmani vivono dopo l’11 settembre. Non è un punto di vista politico, ma di uomo normale. È un modo per dire ai miei e ai ragazzi come loro che la maggioranza della gente è normale, e non bisogna fermarsi agli stereotipi, musulmano uguale terrorista è uno stereotipo." (...) "Obama domani sarà in India, qualcosa si sta smuovendo ma ci vuole tempo e pazienza. Sono un uomo che ama lo sport e l'arte, possiedo una squadra di cricket, i Kolkata Knight Riders, per aver detto che nello sport e nell’arte non ci sono confini di religione o razza, sono stato attaccato da alcuni politici indiani".'
Francesca Pierleoni, Gazzetta del Sud, 1 novembre 2010:
'L'attore è al Festival di Roma per presentare Il mio nome è Khan di Karan Johar (in sala dal 26 novembre distribuito da Fox), e per un incontro con il pubblico. Ieri sera poi è stato ospite d'onore del party bollywoodiano in un noto ristorante di Monti. Parlantina spiccata, sempre sorridente, modi oxfordiani, elegante in un completo blu (...). "Lavoro da vent'anni - sottolinea Khan, che del film è anche produttore - ho fatto tanti ruoli diversi, ho cantato, ho ballato, ho recitato. Ho voluto provare ad offrire al mio pubblico, così numeroso, qualcosa di diverso. All'inizio ero un po' teso, ma il successo che Il mio nome è Khan sta avendo mi ha rassicurato". Per il film, Shak Rukh Khan si è preparato per tre mesi: "Mi è stata molto utile l'esperienza che ho fatto da studente di teatro, di insegnare recitazione a bambini malati. Poi mi è servito leggere libri come Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon, vedere documentari e film, da Rain man a Risvegli, e soprattutto parlare a lungo con un bambino che soffre di questa sindrome".'
'Corone di fiori, danze rituali e una pioggia di petali multicolori accolgono l'arrivo di Shahrukh Khan sul red carpet romano. L'attore indiano, protagonista di Il mio nome è Khan, è una delle star più amate di Bollywood, una di quelle che scatenano le reazioni inconsulte di orde di fan innamorate, e anche qui a Roma possiamo avere un assaggio dell'isteria collettiva sollevata dalla sua presenza. Tra il pubblico presente all'incontro spuntano qua e là sari variopinti, gli stessi indossati dalle ballerine che roteano con grazia sul red carpet incantando il pubblico assiepato intorno alla passerella. L'eccitazione aumenta man mano che si avvicina il momento dell'ingresso di Khan e quando l'attore compare sul palco tra il pubblico femminile, indiano e non, si scatena il delirio. Shahrukh Khan inaugura la chiacchierata con un lungo discorso di saluto rivelandosi un gran chiacchierone e fornendo un saggio delle parole italiane conosciute, eppure l'attore assicura di essere, nel privato, un uomo solitario. "I fan mi accolgono sempre con calore, ma io sono molto lontano dallo star system. Una parte di me lavora nel cinema e fa cose che in molti apprezzano, ma nel privato c'è un'altra persona, riservata e solitaria. I miei amici pensano che sia schizofrenico, mia moglie mi chiama Shahrukh 1 e Shahrukh 2. Quando mi trovo in pubblico mi piace confrontarmi con la gente, mi piace che le persone che vengono a vedermi stiano bene, si divertano e abbiano un contatto con me. Voglio essere sicuro che le persone mi possano salutare, che siano contente di incontrarmi. Quando però sono solo, non rispondo neanche al telefono, devo concentrarmi, devo restare con me stesso. Spesso mi chiudo in una stanza e fisso per ore il soffitto. Se non mi prendessi il mio tempo non riuscirei a lavorare né a sostenere la pressione". (...) "Questo è stato un film importante perché permette a tutti di capire cosa si intenda per cinema indiano. Abbiamo la fama di produrre opere spensierate, ricche di balletti. In realtà noi trattiamo argomenti molto importanti, ma lo facciamo alla nostra maniera. Nel corso degli anni abbiamo eretto dei muri, abbiamo creato confini tra i popoli. Il mio nome è Khan ci dice che ognuno di noi può trovarsi coinvolto in una situazione di pericolo perciò occorre essere tolleranti con gli altri". Il film ha rappresentato, inoltre, per Khan una sfida personale. L'attore è stato chiamato a interpretare un uomo afflitto dalla Sindrome di Asperger, ruolo estremamente delicato. "Quando si recita la parte di una persona che ha delle capacità particolari ci vuole rispetto per non cadere nel patetismo. Nell'accostarmi al personaggio non ho avuto paura, ma certo ho dovuto faticare non poco. Non so se ero l'attore migliore per questo ruolo, ma di sicuro ho esperienza in campo di diversità culturale perché provengo da una famiglia islamica, sono stato allevato come musulmano, ma poi ho studiato in una scuola cattolica. I miei vicini di casa erano indù e ho verificato che in tutti e tre i casi i principi di base della religione sono tolleranza, pace, amore. Conoscendo una parte dell'Islam io potevo comprendere meglio il personaggio rispetto ad altri attori". (...) "I miei due figli compensano la perdita dei miei genitori, avvenuta quando ero molto giovane. Ai miei figli non interessa che io sia una star, preferiscono altri attori, a loro importa solo che io gli dia da mangiare. Se non amano i miei film lo dicono e ultimamente hanno cominciato a prendere in giro il mio modo di ballare. I figli rappresentano il mio equilibrio interiore". (...) Nel 1990, quando la madre muore, l'attore riceve l'offerta per girare un film a Mumbai. "Ho avvertito i miei amici dicendogli che sarei tornato a casa dopo un anno. Ora dopo vent'anni i miei amici mi dicono ancora: "Avevi detto che saresti tornato dopo un anno. Che fai?" Io sono nato a Delhi, ma a Mumbai ho trovato grande calore, grande sicurezza e continuo a lavorarvi. In India mi sento protetto. Non so se mi recherei a lavorare in Occidente. Per un regista occidentale è difficile scrivere un film che vada bene per me, non sono un grande ballerino come John Travolta, non mi sento poi così bello e non credo di avere molto da offrire a Hollywood. La mia pelle è scura, non so che film mi potrebbero offrire all'estero, perciò mi interessa di più lavorare nel mio continente. Non voglio lasciare l'India, voglio che il resto del mondo venga a vedermi lì, a casa mia".'
'È un personaggio simpatico ed estremamente loquace, Shahrukh Khan. Addirittura troppo, secondo la responsabile della traduzione che, un po' stremata, lo ha pregato di essere più stringente nelle risposte, in occasione della mini press-conference in cui la star del cinema di Bollywood ha presentato al Festival di Roma il suo ultimo film, Il mio nome è Khan (...).
C'è stata anche un po' di improvvisazione nell'interpretazione?
Beh, quando ho avuto la sceneggiatura mi sono subito reso conto che certe cose andavano cambiate, riviste: e il motivo è proprio che questo è un film diverso da quelli che avevo interpretato in precedenza. Ho provato e riprovato di continuo, in questo sono stato anche aiutato da una frattura alla spalla che mi sono fatto durante le riprese, che mi ha costretto a casa per due mesi. Mi mettevo davanti allo specchio e continuavo a provare finché non riuscivo a ottenere esattamente quello che volevo. Io sono un performer naturale, nessuno è abituato a vedermi recitare in modo così contenuto, sotto controllo: ma era il personaggio che lo richiedeva. Comunque, anche così la sicurezza di aver fatto la cosa giusta non c'era mai, al punto che a volte giravamo due versioni diverse della stessa scena, con me che facevo espressioni diverse. (...)
Cosa sta facendo attualmente?
Sto girando in Germania, a Berlino, il sequel di un film intitolato Don, incentrato sulla figura di una specie di James Bond negativo, uno che ammazza le ragazze. Mi piace Berlino, nonostante il freddo, mi piace il suo mix di antico e moderno, e mi piace la gente, sempre molto interessata al cinema.'
Mattia Pasquini, 35mm.it, 1 novembre 2010:
'Il suo pubblico è abituato a vederla in altre vesti, teme che possa non accettare questo cambiamento?
Credo che la scienza sia qualcosa che coinvolge tutti, l'arte invece no, in primis è qualcosa di personale, che faccio per me; quando si vuole fare qualcosa di artistico, come una canzone o un quadro, lo si fa per sé e poi per gli altri. Io sono venti anni che faccio cinema e ho sempre recitato per fare felice me stesso. Qualcuno dice che non so recitare, che sono solo fortunato, ma dopo tanto tempo e tanti film, forse qualcosa di buono c'è. Questo mi ha dato la forza di fare qualcosa di diverso, anche per vedere come avrebbero reagito i miei fan. E il risultato mi spinge a continuare. Attualmente sto facendo il supereroe (...), ma magari poi farò di nuovo qualcosa di serio.
Come si è preparato per questo ruolo così delicato?
Ho sempre lavorato tanto in teatro e uno degli esercizi che facevamo era proprio quello di fare lezione (a persone) con problemi, autistici e dislessici tra gli altri. All'epoca non conoscevo la definizione scientifica della patologia, ma quell'esperienza mi ha dato comunque tanto. Poi ho letto Il curioso caso del cane ucciso a mezzanotte, che ho trovato molto interessante soprattutto nelle note alla fine, e ho visto molti documentari presentati da persone affette da questa sindrome. Li ho visti proprio per non ripetere certi modelli e non cadere vittima dell'imitazione. Ho anche visto film come Risvegli, Rain Man, L'olio di Lorenzo ed incontrato delle persone, un bambino in particolare, dalle quali ho tratto ispirazione. Lavorando col regista poi mi sono allenato a tenere fisso lo sguardo; è stato faticoso, ma era importante rispettare queste persone e le loro difficoltà.
Una volta in Occidente c'era la moda dell'India... Crede che questo sia ancora vero, magari con aspetti diversi?
Noi indiani amiamo il cibo, il calcio, usiamo gesticolare, parlare ad alta voce: tutte caratteristiche che ci rendono simili agli italiani, come ho potuto notare in miei amici di qui... e poi abbiamo un profondo amore per la mamma! Credo che, al di fuori del Sud Est asiatico la nazione più simile all'India sia proprio l'Italia. Noi, però, siamo l'unico Paese che sembra non esser stato toccato da Hollywood, soprattutto perché abbiamo un nostro (...) Star System, a differenza di altri Paesi, anche dalla tradizione cinematografica importante - come Italia, Francia, Gran Bretagna - che han ceduto il passo ad Hollywood per la mancanza di questo Star System... Le nostre sono storie semplici, non fantastiche come le statunitensi; grezze, reali, anche se con molto colore, musiche, canti e balli. Parlano del desiderio di essere felici più che di abbattere meteoriti; e forse sono più realistici i nostri di tanti film. La fascinazione che c'era negli anni 70 per l'India, continua, in qualche modo, basti pensare ad Avatar che cita l'albero della conoscenza e Krishna. Nei nostri film non affrontiamo questi temi. Siamo una cinematografia molto prolifica, si fanno 3 film al giorno, di media. Nessun Paese può vantare questi numeri. È pur vero che se vogliamo iniziare ad esportare di più il nostro prodotto per non essere solo una moda, dovremmo innanzitutto tagliare un po' la durata e poi lavorare diversamente sullo script per adattare le storie all'interesse del resto del mondo. D'altronde quando un Paese va bene economicamente attira attenzione sulla propria cultura, e visto che adesso siamo dietro la Cina...
È diverso essere una star in India? Le crea difficoltà nella vita di tutti i giorni?
Io ho lavorato tutta la vita per essere famoso, ora non metto di certo gli occhiali scuri per non essere notato. Mi piace incontrare la gente. Ora per esempio sto girando un film in Germania, dove i film indiani sono piuttosto noti, e non è raro che abbia tre o quattrocento persone sotto l'albergo in cui alloggio. Il film è il sequel di Don, su un cattivo ragazzo alla James Bond che ammazza tutti. Ma di fondo resto una persona riservata. Tendo a stare molto in hotel e vedere film. Giusto qui a Roma, quando ero venuto in passato con mia moglie, mi aveva costretto lei ad uscire, anche perché non sono molto conosciuto... In Gran Bretagna invece ho sempre qualcuno intorno ad accompagnarmi, e sono tutti molto alti...
Ormai non sono pochi i registi indiani noti al resto del mondo...
Conosco (Gurinder Chadha), Mira Nair, sono colleghe e sono molto vicine a me, anche per aver frequentato lo stesso teatro dal quale vengo io. In generale la sensazione è che i loro non siano veri e propri film di Bollywood, ma un cinema più rispondente a quello che è lo sguardo dell'Occidente sull'India.
Un confronto inusuale con un film così intenso...
Non è stato facile. Quando ho visto la sceneggiatura, mi son reso conto di dover modificare qualcosa. In genere non sono abituato a porre domande, ma questo era un film diverso dal solito, stavolta era un film speciale per entrambi, me e Karan Johar, un dramma sociale. Nella sfortuna, poi, sono stato fortunato perché mi sono rotto una spalla e dovendo restare fermo ho lavorato tanto al personaggio. Siccome sono timido facevo le prove in bagno, con la telecamera, perché volevo mostrare il risultato agli altri e a Karan solo quando avessi trovato l'interpretazione corretta.'
'Ballerini indiani e una folla in delirio hanno acclamato il superdivo Khan sul tappeto rosso, che ha poi partecipato all’incontro col pubblico nella Sala Petrassi dell’Auditorium, dove si è registrato il tutto esaurito. Grande assente il regista Karan Johar che, come ha spiegato l’attore, è stato colpito dalla malaria, ma è già in fase di guarigione. Shah Rukh Khan, impeccabile nel suo abito nero, ha recitato in tutti e quattro i film diretti dal regista indiano, e con Il mio nome è Khan ha catturato i cuori di milioni di spettatori in tutto il mondo, non soltanto di nazionalità indiana. (...) Shah Rukh ha parlato molto di sé, confessando di essere una persona solitaria nonostante la fama mondiale di cui gode da vent’anni. "I fan mi accolgono sempre con calore, ma io mi sento lontano dallo star system. Una parte di me lavora nel cinema e fa cose che molti apprezzano, ma nel privato c'è un'altra persona, riservata e solitaria. I fan mi chiamano SRK e, dato che i miei amici pensano che sia schizofrenico, mi chiamano SRK 1 e SRK 2. Talvolta mia moglie mi chiede con quale dei due Shah Rukh stia parlando… Quando mi trovo in pubblico mi piace stare con la gente, mi piace che le persone che vengono a vedermi stiano bene, si divertano e abbiano un contatto con me. Voglio essere sicuro che le persone mi possano salutare, che siano contente di incontrarmi e che non pensino che il fatto di avermi visto sia stata una perdita di tempo. Quando però sono solo ho bisogno di stare con me stesso. Spesso mi chiudo in una stanza e potrei stare per ore a fissare il muro. Probabilmente è ciò che avrei fatto stasera se non fossi venuto qui". Benché in patria - e non solo - sia venerato come un dio e sia uno degli uomini più ricchi d’Asia (è proprietario di una squadra di cricket, oltre a essere attore e produttore cinematografico), Shah Rukh rivela di essere una persona insicura, in costante ricerca di affetto, e tormentato dal vuoto provocato dalla prematura morte dei genitori, avvenuta più di vent’anni fa. Afferma di aver deciso di fare l’attore proprio per compensare questa perdita, per cercare un’evasione dal dolore e non sprofondare nella depressione come invece è capitato a sua sorella. Essere amato dalla sua famiglia e dai fan, da cui è soprannominato King Khan (...), è l’unico modo per fuggire dal dramma del suo passato. "Dopo la morte dei miei genitori, non avrei mai pensato che un giorno avrei amato qualcuno quanto amavo loro. E invece ci sono riuscito grazie ai miei figli. A loro non interessa che io sia una star, in realtà preferiscono altri attori. Se non amano i miei film lo dicono con grande tranquillità; ultimamente hanno cominciato a prendere in giro il mio modo di ballare". Shah Rukh Khan afferma con modestia: "Non sono sexy come Banderas, non so ballare come Travolta, e non sono neanche particolarmente bello”. E quando alcune sue fan in sala gli urlano il loro apprezzamento, risponde scherzosamente: "Oh guarda, qui ci sono le mie due fan che mi trovano sexy…". Shah Rukh è amatissimo non soltanto dalle donne, ma annovera anche numerosi ammiratori. E quando in sala accenna a un passo di danza citando una canzone di uno dei settanta film girati in vent’anni, esplode un’ovazione. Citando Michael Caine, Khan dichiara inoltre: "Un attore non indossa una maschera, piuttosto deve essere in grado di togliersi la maschera. Recitare non significa mostrare allo spettatore chi sei tu, bensì dimostrargli chi lui veramente è".
Anna Maria Speroni, LeiWeb.it:
'Tutto esaurito in Sala Petrassi dove indiani e italiani sono venuti a vedere Shah Rukh Khan, che incontra gli spettatori prima della proiezione di My name is Khan. Chi grida I love you (donne, ma anche uomini), chi gli fa domande in hindi per nostalgia dell'India, e un'ovazione quando lui accenna a qualche passo di danza. Il divo si schermisce: "Ma guarda, ci sono un paio di ragazze che mi trovano sexy qui all'auditorium…". (...)
Anche lei, l'anno scorso, è stato fermato all'aeroporto al suo arrivo negli Stati Uniti e interrogato per ore, come succede al protagonista del film.
C'era stato qualche problema con il computer… è stato molto sgradevole: come potrebbe non esserlo quando risulti sospetto solo per un cognome che suona musulmano? Eppure succede. Il ministro indiano dell'aviazione, che è anche un mio amico, mi ha preso molto in giro per questo: "Vedi? Non sei abbastanza famoso", mi diceva. Dieci giorni fa è successa la stessa cosa anche a lui.
L'anno scorso, quando il film uscì in India, gli Indù più conservatori hanno protestato...
Non contro il film ma contro di me, per una cosa che avevo detto: e cioè che nell'arte e nello sport non ci dovrebbero essere barriere religiose o razziali o di qualunque altro genere. Mi riferivo al fatto che nelle squadre di cricket indiane (lo sport più popolare, là, ndr) hanno tutto il diritto di giocare anche gli stranieri. Era nata una polemica che poi si è placata con il tempo.
Lei è anche proprietario di una squadra di cricket.
Sì, è la mia passione, mi ha messo quasi al verde… Comunque mi piace anche il calcio, da ragazzino mi chiamavano Paolo Rossi: segnavo molto.
È considerato tra i cinquanta uomini più potenti del mondo, e tra i dieci più sexy dell'Asia: quale delle due classifiche le fa più piacere?
Poche settimane fa sono finito sulla copertina di Time out, un settimanale, come il papà più sexy… Ma ho intenzione di continuare la scalata: l'Asia non mi basta, voglio una posizione tra i più sexy del mondo!'
Paolo Pugliese, Occhi sul Cinema (aggiornamento del 21 gennaio 2011):
'Per il regista indiano Karan Johar, Il mio nome è Khan è stato ispirato dall’opportunità di offrire una prospettiva diversa a un mondo tuttora impelagato nelle incomprensioni e nell’intolleranza culturale. Johar desiderava realizzare la sua visione, mescolando vicenda personale ed epopea, impreziosendola con la storia di una coppia indiana mista negli Stati Uniti del dopo 11 settembre. La coppia si trova ad affrontare l’irrequietezza sociale, con cui hanno dovuto fare i conti molti cittadini provenienti dal Sud-Est asiatico, visti nel loro insieme, in modo del tutto insensato, come terroristi, unicamente a causa dei loro tratti somatici e dell’iconografia culturale. Oltre a ciò, lo stesso Johar voleva comprendere gli effetti di queste dinamiche sui cittadini di etnia sikh, che sono arrivati al punto di negare la loro identità religiosa nel timore di subire rappresaglie. Il regista ha compiuto un lungo viaggio negli Stati Uniti, durante il quale è stato spesso invitato a feste e cene, e ha ascoltato e partecipato alle discussioni che tra gli intellettuali indiani abitanti a New York erano all’ordine del giorno. Essi raccontavano con profonda angoscia e dolore la difficile condizione vissuta dai loro connazionali in America. Si trattava di persone che non erano intellettuali e non sapevano difendersi dalla crescente ondata di ostilità e confusione che si era andata diffondendo dopo gli attentati dell’11 settembre. Johar ha anche incontrato alcune organizzazioni musulmane locali, desiderose di raccontare le storie di molestie subite dalle persone non solo nelle grandi città, ma anche in quelle minori e nei piccoli centri. (...) Nella parte principale di Khan c’è il quarantaquattrenne Shah Rukh Khan, superstar di Bollywood e protagonista di alcuni dei maggiori blockbuster del cinema indiano, che abbiamo incontrato lo scorso 31 Ottobre durante il suo soggiorno al Festival del Cinema di Roma.
Il mio nome è Khan tratta argomenti come il conflitto tra mondo occidentale ed islamico, le difficoltà di chi soffre della sindrome di Asperger e la vita in un’America spesso ostile verso gli stranieri. Come avete affrontato tutti questi temi?
Dal punto di vista personale, essendo un attore, non sono molto incline alle sottigliezze e alla misura, mentre il mio amico e regista Karan Johar ha mostrato una profondissima maturità (...) nell’affrontare il difficile tema del film nel suo insieme. È indubbiamente lui l’eroe del film, poiché è riuscito a rappresentare la complessità della sindrome di Asperger, il mondo occidentale e i conflitti nel mondo islamico e, su questo intreccio, ha ricamato una storia d’amore meravigliosamente semplice, che sembra appartenere a un altro mondo ma in cui chiunque può identificarsi. Se penso alla sequenza del diluvio, al modo in cui ha delineato questo personaggio inconsueto, alle spese ben oltre le sue possibilità che ha sostenuto per realizzare un film dal cuore grande quanto il suo, posso soltanto essergli grato di avermi permesso di essere una piccola parte in questo grande viaggio. Voglio poi aggiungere una parola per la società di distribuzione, la Fox: probabilmente ci saremmo scoraggiati tutti molto prima di completare metà percorso, se non fosse stato per il sostegno che ha fornito a noi e il contributo dato al film assicurandone un taglio adatto a un vasto pubblico in tutto il mondo. Un milione di grazie, ragazzi!
Quali sono state le idee guida del suo personaggio?
Khan rappresenta la pacata voce interiore che sussurra: "Per percorrere la strada giusta, per trovare le risposte, per salvare te stesso e il mondo circostante, non devi indossare un’armatura e volare". Tutto ciò che serve è una coscienza nobile pronta a ricordarti che le semplici verità della vita sono quelle che contano di più. Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non sono nozioni complesse. Sono concetti semplici come l’avvicendarsi della luce e del buio, dell’alba dopo la notte. Tanto semplici che Khan potrebbe apparire anacronistico nel nostro mondo, dominato dalla ricerca prepotente e nevrotica del benessere.
Lei ha definito Khan un supereroe.
Può sembrare strano affermare che abbiamo creato un film su un supereroe. Il nostro eroe, affetto dalla sindrome di Asperger, è un uomo candido il cui unico superpotere è l’umanità. Questa è stata per me l’esperienza più importante che ho vissuto girando il film. Vale a dire, per essere un eroe, tutto ciò che occorre è la bontà di base dell’essere umano, che è qualcosa di veramente raro. In questo senso, potremmo quasi pensare che il protagonista del film venga da un altro mondo.
Come ha approfondito la conoscenza dell’Asperger?
Ricordo di avere letto The Curious Incident of the Dog in the Nighttime (...) di Mark Haddon, e di essere rimasto molto scosso dall’onestà del testo e dai meccanismi interiori di un ragazzo autistico. Mi sono immerso nel suo modo di ragionare e nella sua logica e sono stato completamente assorbito dall’approfondimento di questo particolare disordine. Quando Karan mi ha detto che avrei dovuto impersonare un uomo affetto da Asperger, ho colto al volo l’opportunità d’interpretare il personaggio in un modo che avesse senso per me, ma che fosse corrispondente ai tratti e alle caratteristiche che costituiscono il fondamento di questa personalità. Ho trascorso molto tempo con soggetti affetti da questa misteriosa sindrome, oltre a guardare documentari realizzati da e destinati a persone autistiche.
Cosa le ha lasciato dentro di sé Khan?
Il viaggio attraverso gli occhi di Khan, che ho vissuto con particolare intensità, mi ha fatto capire che si può essere molto speciali pur essendo persone comuni. Le riprese del film ci hanno portato in giro per l’America (molto piacevole, ad eccezione del freddo a Los Angeles) e ho visto che il tema su cui è imperniato il film – l’Islam e il mondo occidentale – è considerato in modo sorprendentemente onesto e bilanciato da molto americani, ad esempio i membri del cast tecnico che hanno lavorato con noi. Essi hanno capito che, in una guerra che non è stata iniziata da nessuna delle due parti, le vite che vanno perdute su ambo i fronti meritano uguale rispetto, considerazione ed empatia. Queste persone ora capiscono meglio le parole scritte da Platone: "Solo i morti hanno visto la fine della guerra". Quanto prima fermeremo questo conflitto senza senso, tanto più felici saranno le nostre vite.
Cosa si augura con questo film?
Prego Allah che il messaggio trasmesso attraverso la narrazione della vicenda abbia un senso emotivo per tutti. Spero che, a modo nostro, abbiamo concorso, anche in misura minima, alla sanità, normalità e semplicità di cui il nostro mondo ha così tanto bisogno al giorno d’oggi'.
Bollywood Hungama scrive (aggiornamento del 2 novembre 2010):
'Da Berlino, Shah Rukh Khan è volato a Roma in compagnia del figlio e del nipote di Gauri, e ha scoperto che l'amico e produttore-regista Karan Johar non sarebbe intervenuto al Festival Internazionale del Film. SRK ha quindi dovuto sobbarcarsi il doppio delle interviste previste inizialmente. Fox era pronta a cancellare le conferenze stampa, ma la star ha insistito per parteciparvi comunque. Vijay Singh di Fox-Star Studio è rimasto impressionato dall'operosità di SRK: 'L'impossibilità di Karan di intervenire al festival poteva costituire un problema, ma SRK ci ha salvati. Abbiamo organizzato un grandioso red carpet prima della proiezione di MNIK, nonché diversi incontri con la stampa. La star ha gestito tutto senza perdere un colpo'.
Aggiornamento del 21 gennaio 2011: nel numero dell'edizione italiana di Vanity Fair distribuito un paio di settimane dopo l'evento, è stata pubblicata una fotografia di Shah Rukh Khan in una delle rubriche della rivista.
(Grazie a Diana per la segnalazione e per la fotografia)
VIDEO
- Shah Rukh Khan incontra il pubblico in sala:
prima e
seconda parte (eternamente grata a Valentina Ariete)
Vedi anche: